Il conte veneto Carlo Lasinio (Treviso 1759 - Pisa 1838) dopo aver studiato pittura all'accademia di Venezia si dedicò all'incisione, con le quali ebbe un ruolo importante (oltre che come pittore): introdusse in Italia le incisione su lastre multiple per la stampa a colori che davano l'impressione dell'acquerello (in Francia era gia praticata dal Dagoty Le Blont).
A Firenze gia dal 1780 iniziò la sua fortunata carriera di incisore di riproduzione. In questi anni si sposò con Maria Boranga ed ebbe numerosi figli tra cui Giovanni che seguì le sue orme di incisore. Con questa tecnica riprodusse gli affreschi di Pietro da Cortona della sala della Stufa di Palazzo Pitti a Firenze oltre alla numerosa serie di acqueforti (più di 350 incisioni) degli autoritratti conservati agli Uffizi: Ritratti dè pittori esistenti nella Reale Galleria di Firenze, che pubblicò a partire dal 1789.
Le sue prime incisioni furono influenzate da Francesco Bartolozzi e G.Marco Pitteri: Lasinio era un grande sperimentatore di nuove tecniche d'incisione tra cui il punteggiato (tecnica d’incisione consistente nel condurre il disegno mediante punti anziché linee).
Nel 1806 all'età di 49 anni Lasinio lasciò Firenze per recarsi a Pisa dove insegnava all'Accademia di Belle Arti accompagnato dall'editore e letterato Giovanni Rosini (1776/1855) titolare della stamperia Società letteraria. Rosini vide in Lasinio la persona adatta per la realizzazione di una serie di acqueforti delle opere che ornavano le pareti affrescate del Camposanto per farne una pubblicazione in modo che non venisse persa la loro memoria (come poi successe per alcune opere) essendo il tutto in stato di particolare degrado.
Quindi il governo toscano nel 1806 incaricò Lasinio di sovrintendere al recupero dell'intero complesso: accettato l'incarico affidatogli dal Rosini, mentre iniziava a mettere mano alle incisioni (che terminò dopo 7 anni) ricevette nel 1807 dalla regina Maria Luigia di Borbone Spagna la nomina conservatore del Camposanto di Pisa compensandolo annualmente con 1260 lire che mantenne sino alla morte. L'opera, Pitture a fresco del Camposanto di Pisa, era composta da quaranta tavole.
Nel 1807 in parallelo maturava nei dirigenti fiorentini, nelle persone di Giovanni degli Alessandri (direttore dell'Accademia di Belle Arti di Firenze) e di Tommaso Puccini (direttore degli Uffizi) la decisione di fare dell'edificio la sede espositiva di oggetti antichi, medievali e moderni recuperabili con la demaniazione del patrimonio ecclesiastico, ma anche con donazioni e acquisti: il Camposanto sarebbe così diventato in qualche modo come la Galleria degli Uffizi. Lavino faticò non poco ad inserirsi in quanto le autorità ecclesiastiche lo consideravano un intruso condizionando il suo operato. Nonostante tutto lui, giurisperito come il padre Gian Paolo, fece il possibile per inserirsi nel dibattito culturale che tra il 700 e l'800 era gia vivo a Pisa.