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L'acquaforte è nata nel 1500: la prima acquaforte firmata e datata fu dell'orafo basilese Urs Graf nel 1513. Questa tecnica fu usata dai migliori artisti: da Canaletto, Durer, Rembrandt, Picasso... Ma in Italia il primo a perfezionare la tecnica fu Girolamo Francesco Maria Mazzola detto il Parmigianino nato nel 1503 e morto nel 1540. (vedi foto del suo autoritratto a destra).
L'acquaforte (aqua fortis) è una tecnica di stampa che risale al 1450 e deriva dal nome che fù dato all'acido nitrico, un acido corrosivo chiamato anche mordente. Da qui il nome dato alla stampa che si ottiene da una matrice di metallo incisa, usando una soluzione acida.
ll lavoro più importante consiste nell'incidere la lastra, solitamente in ottone, rame o zinco.
La lastra si ricopre con una spatola di una cera liquida (cera d'api, bitume o vernice satinata). Poi si sospende, mettendola sopra due fili di ferro e con una candela, possibilmente composta da tante candele intrecciate tra loro per avere una grossa fiamma, e la si fà annerire affumicandola. Si lascia riposare affinchè la cera si indurisca e dopo si inizia l'incisione con una o più punte di metallo di vari spessori, leggermente arrotondate in punta, affinchè asportando la cera, restino scoperte sino al metallo le parti in corrispondenza del disegno che si intende realizzare: infatti non si incide il metallo, ma si graffia la cera.
In tutte le tecniche di incisione il disegno va tracciato con i lati destro e sinistro invertiti, perché la stampa finale si ottiene specchiando la lastra sulla carta. Dopodichè si isolano i margini e il retro della lastra con una vernice o con un comune nastro adesivo, affinchè non vengano corrosi. Dopo aver finito l'incisione si immerge la lastra in una bacinella con acido nitrico o acquaforte, come veniva chiamata anticamente la miscela composta da tre parti di acqua ed una di acido nitrico. Gli acidi che si trovano facilmente in commercio sono appunto l'acido nitrico e il percloruro di ferro: l'acido nitrico si usa esclusivamente per le lastre di zinco, mentre il percloruro di ferro per le lastre in rame e ottone. (a sinistra un acquaforte di Rembrandt).
L'acido nitrico durante la morsura, che è l'azione corrosiva dell'acido, libera un gas che forma tante bollicine d'aria sopra i solchi: per avere un segno più regolare è indispensabile che siano tolte subito: si usa una piuma di animale acquatico, perché è più resistente.
Invece il percloruro di ferro al momento della reazione chimica forma dei deposito in fondo ai segni: una poltiglia color ruggine che ne impedisce la regolare morsura: in questo caso la lastra va capovolta in modo che la poltiglia precipiti nel fondo della bacinella.
Questo procedimento si chiama morsura: morsura piana se la durata dell'acidatura è uguale su tutta la lastra, a più morsure se i tempi di corrosione variano da zona a zona nella lastra, ottenendo così varie sfumature e tonalità, secondo le quantità maggiori o minori di inchiostro e secondo la concentrazione dell'acido.
Quindi la morsura può essere per coperture o per aggiunte. Per coperture, vuol dire che avviene in più momenti, con più immersioni: dopo aver acidato una prima volta, si coprono con una vernice i solchi che dovranno risultare più sottili nella stampa. Si immerge di nuovo per avere segni più grossi, si coprono questi e si ripete l'operazione, sino ad arrivare ai segni più larghi e così via. Nella stampa si vedranno i segni più netti delle differenti morsure.
La morsura può essere anche per aggiunte: per primi si trattano sulla lastra i segni che si vogliono far risultare più forti, si acidano e poi pian piano si aggiungono i segni che si vogliono far risultare più fini. Con questo metodo si può intervenire sino alla fine delle morsure.
Le tonalità più scure hanno tempi di immersione nell'acido più lunghi e di conseguenza solchi più profondi. Dove c'è la cera l'acido non penetra, mentra nei segni fatti con la punta di metallo l'acido corrode, scava.
Poi si lava la lastra nell'acqua e si toglie la cera, facendola diventare lucida, perfettamente pulita. Si spalma l'inchiostro su tutta la lastra incisa e si pigia con un grosso tampone in pelle in modo che l'inchiostro entri perfettamente nei segni scavati dal'acido nitrico. Poi la lastra si pulisce molto bene, in modo che l'inchiostro resti solo nei segni scavati dall'acido.
La lastra di metallo che è stata incisa dev'essere perfettamente dritta, come il foglio di carta umido che dovrà esser poggiato sopra.
Per le stampe finali viene scelta la miglior carta fabbricata a mano. Abbiamo detto che prima della stampa la carta deve essere bagnata e lasciata fra lastre piane per almeno 24 ore.
Sopra la carta è necessario mettere un feltro, una stoffa realizzata in pelo animale non tessuta ma fatta infiltrire, che essendo morbida servirà a distribuire la pressione in modo uniforme e quindi ad aiutare la carta a schiacciarsi nei segni quando passerà sotto il pesante rullo del torchio.
Si stampa con un torchio calcografico: una robusta struttura che supporta due rulli (vedi foto a destra).
Uno è mosso dalla tradizionale ruota a stella, mentre l'altro serve a dare pressione. Come abbiamo detto prima, tra i due rulli è inserita la lastra incisa e inchiostrata, la carta inumidita e il feltro. Si finisce con la lastra trascinata dalla rotazione del rullo.
In questo modo si possono eseguire da un'unica matrice un numero limitato di stampe, prima che la matrice si deteriori e diventi inutilizzabile.
Terminata la tiratura la matrice deve essere biffata (sfregiata) allo scopo di impedire altre tirature. Le matrici biffate devono essere conservate. Tutte le stampe eseguite dalla stessa lastra vengono numerate rigorosamente e firmate dall'artista (comprese anche le prove) con due numeri (Se ad esempio la tiratura è di 50 acqueforti, la numerazione sarà la seguente: 1/50; 2/50; etc.). Il primo è il numero della stampa e il secondo è il totale delle stampe che saranno eseguite. (in alto a sinistra un acquaforte terminata).